MELOZZO E L'UMANA BELLEZZA

Nel riproporre, a distanza di decenni, una grande rassegna monografica su Melozzo, i curatori si sono trovati di fronte ad una sfida impegnativa, quella di non soccombere nell’inevitabile confronto con la mostra principe del 1938.

Quest’ultima resta infatti, fino ad ora, omaggio insuperato al grande romagnolo, perfetta per rigore scientifico nonostante i ripetuti tentativi di gerarchi fascisti di snaturarla per trasformarla in un servile strumento di esaltazione del Duce, conterraneo dell’artista. Il curatore Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani, di Melozzo e l’Umana Bellezza (dal 29 gennaio al 12 giugno) ha accettato la sfida e l’ha vinta. Sia dal punto di vista della ricchezza delle opere presentate e che per la magnificenza di artisti suoi contemporanei da Piero della Francesca a Domenico Veneziano, dal Mantegna al Beato Angelico, al Palmezzano suo prediletto discepolo, che fanno corona alle 15 di Melozzo.

Scrive Luca Paciolli nel suo De divina proportione: “…egli col suo caro amico Palmezzano, sempre con circina (compaso) e libella loro opere proportionando conducono in modo che, non umane, ma divine ai nostri occhi si rappresentano e a tutte loro figure lo spirito pare che non manchi…”. A parte il Vasari, che gli dedica scarse righe, numerosi altri scrittori di fama celebrano le virtù di Melozzo, riconoscendogli un ruolo di primo piano fra i maestri dei suoi tempi. Pittore amato per la perfezione della sua arte prospettica inventore del ”sotto in su” cioè negli scorci dal basso, la sua biografia appare ben documentata a partire dal suo approdo alla reggia di Montefeltro a Urbino dove accanto a Piero della Francesca operavano maestri di Fiandra e Spagna. Si sa infatti che con questi ultimi partecipò all’affresco dello studiolo del duca Federico , una serie di uomini illustri ora in parte al Louvre. Poco si sa invece dei suoi esordi e sui primi maestri. Si parla del giottesco Baldassarre Carrari il vecchio, di Ansuino da Forlì tramite il quale aveva conosciuto i modi di Andrea Mantegna. Determinante tuttavia fu il suo incontro con Piero con cui approfondì il concetto di prospettiva , divenuta spesso, illusionismo prospettico che accanto alle sue linee nette, ben definite e all’originalità degli scorci sono la sua nota distintiva.

Diceva di lui il Longhi che “con Melozzo la prospettiva di Piero diventa scenografia”. Nominato pittore papale realizza uno dei suoi capolavori, l’affresco di Sisto V (esce per la prima volta dal Vaticano ed è presente in mostra) raffigurato mentre consegna la Biblioteca vaticana all’umanista Platina, in occasione della sua nomina a prefetto della Biblioteca vaticana, primo esempio, secondo Paolucci di un omaggio a un governatore dei beni culturali.

Ai temi della misura e della bellezza, alla luce tersa che delinea le figure aggiunge una espressività e una umanità, retaggio del suo vitalismo romagnolo, che attenuano il rigore architettonico dell’insieme. I suoi angeli di una bellezza trascendentale angeli musicanti, con viola, tamburo, triangolo, tamburello, divenuti ben presto simbolo della bellezza universale. Le sue nobili frequentazioni dei maggiori artisti del tempo lo trasformano in un crogiuolo, nel ricettacolo dove confluiscono accanto alla prospettiva richiami dei cosiddetti pittori della luce fiorentini, in primis il Beato Angelico, il rigore e l’espressività del Mantegna, l’uso sapiente del colore di Giovanni Bellini, nobili ascendenze da lui amalgamate per dare vita alla sua autonomia espressiva e al suo stile personale cui si ispireranno in seguito sia il Palmezzano che il Bramante e l’arte del cinquecento.

I due obiettivi che Paolucci si era imposto nel celebrare Melozzo, cioè mostrare il debito di Raffaello verso di lui. Rivendicare all’arte italiana l’invenzione della bellezza universale. Possono dirsi felicemente raggiunti.

Articles les plus consultés